I diari di Mara - Viaggio nell'Hoggar - 7

24-09-2010



 30/12/1984, Domenica


Sveglia all’alba: scarpinata sulle dune, aria frizzante, ma si riesce a cogliere il disco solare come si deve. Bene. Ancora sosta nell’incanto.


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Ritorno affannoso per colazione e preparazione bagagli: è una cosa che mi sta sull’anima, questa di far presto. Tanto ci sono sempre 1000 tempi morti.

Mohamed è disperato, ha perso le chiavi, ma erano poi sul sedile. Ormai è il nostro autista ufficiale: noi, Giorgio C., Maria Grazia e il Berti. Dopo 3 minuti di viaggio, sosta per (forse) una gomma forata e tutti si va avanti a piedi per risparmiare benzina. Si riparte: il paesaggio è meno bello, confronto a quello di ieri, ma vediamo altri miraggi, compreso uno verde che però io non vedo. Alle 10,40 siamo già fermi per il pranzo in mezzo a scoscesi massoni, una sorta di pietraia che non mi piace molto. C’è una bella arietta e il cielo è quasi sereno. Oggi non voglio più mangiare salame.



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 Evviva, evviva: Doro ha fotografato un varano, cercando scorpioni sotto i massi! Lunga passeggiata e poi solito pranzo. Eravamo a El Ghessour. Si riparte alle 2, dopo la cerimonia delle firme e degli indirizzi dei tuareg, iniziata con titubanza e con la solita esitazione nella paura di violare qualche ancestrale riservatezza. Ma va tutto bene e siamo contenti tutti; anche Mohamed, che non ha più paura di finire in galera per la foto e la firma del giorno prima, mi regala tre firme, compresa una che lui definisce “signature chic”. Sosta alle ultime dune, con un velo di sabbia nera.



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L’arrivo al posto per la notte è poco dopo, alle 4, 4,30 forse: è una spianata fra qualche altura, dove il vento ci intirizzisce. Montiamo la tenda con tristezza, forse per l’ultima volta e poi ci si prepara un succulento minestrone con soffritto e uno spezzatino di speck, cipolle e patate altrettanto buono. Ma che cosa, qui, non è buono?



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 Dopo cena ci invitano i Tuareg per il triplice tè, con lenta e antica gestualità preparato e servito. E’ un rito che ci prende (non tutti a dire il vero).



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Dopo si chiacchiera con loro di Sahara, di vacanze, di dune, di Djanet; si fanno giochi infantili con le dita: insomma, si recuperano dimensioni arcaiche di vita e di umanità. Il Marocco è lontano, il mondo omerico vicino.

E ancora la notte riporta il sonno a uomini e cose, su questa gente nobile e fiera, su noi che ci sentiamo in armonia con l’universo. La commozione è grande – e vera.




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............continua ............

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