3 Opel nel Sahara - 7 - L'Assekrem

04-10-2008


Venerdì, 25 luglio 1986


Si riparte: è solo ora che comincia la vera salita per l'Assekrem. Il paesaggio dell’Hoggar che ci circonda è arido, pietre e rocce dovunque, ma ogni tanto si trovano delle guelte, pozze d’acqua  contornate da una vegetazione rigogliosa e frequentate dai dromedari che pascolano (si fa per dire) tra quelle montagne. Il colore delle rocce è caldo, l’ocra domina, ma alle volte emergono tratti di basalto nero, tracce di antiche colate laviche.


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Dicevamo che inizia la salita. E che salita! Le macchine non vanno su, i motori si surriscaldano: scendiamo, ci spingiamo a vicenda, chi guida sale a zig zag sfruttando tutta la larghezza della pista per diminuire la pendenza effettiva, gli altri arrancano a piedi.

 
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le ultime rampe della pista, con le nostre tre auto parcheggiate al rifugio






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Avevamo documentato questo viaggio, oltre che con le fotografie, anche con alcuni filmati girati con una cinepresa super otto (allora le camere digitali forse non esistevano ancora). I film ottenuti, di scarsissima qualità, sono comunque dei documenti che abbiamo voluto trasferire in digitale e che vi proponiamo come “film d’epoca”. (Vedi clip video in fondo al post) 
                                                            
Nonostante le difficoltà, arriviamo abbastanza presto al colle, in tempo per rilassarci nel rifugio, sdraiati sui materassini e sui tappeti, stesi sul pavimento secondo l’usanza araba, in attesa del pranzo. Ci verrà servito prima il tè, ottimo come sempre da queste parti, e quindi il pranzo, insalata mista e omelette di patate fritte. Buonissima.

Poi, un sonnellino ristoratore che ci lascia euforici al risveglio, ottimisti su quanto ci aspetta nella prosecuzione del viaggio. E, così, in amabile conversare, trascorriamo il pomeriggio.



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Saliamo all’eremo, per il tramonto: che quiete fra quei libri, una pace profonda, un silenzio che ricrea, voglia di immergersi nella lettura di Père Foucauld!

“Je faisais le mal, mais ne l’approvais ni ne l’amais. Vous me faisez sentir, mon Dieu, un vide douloureux, une tristesse que je n’ai éprouvée qu’alors; ce besoin de solitude, de receuillement, ce trouble de l’âme, cette angoisse, cette recherche de la verité, cette prière: mon Dieu, si vous existé, faites-le moi connaitre. ........”





 E’ quasi buio, ormai, ci ritroviamo alla spicciolata al rifugio, ognuno ha preferito appartarsi .....
Pessima cena, conclusa però con la torta con la candelina per il compleanno di Bruno G., con un  gruppo di orripilanti turisti, imbarazzati, quasi osceni nella loro bionda e rosea grassezza, tra questi tuareg eleganti nelle loro morbide movenze di velluto di esseri magri e scuri.

Poi, triplice tè, l’ultimo squisito, alla menta, col guardiano del rifugio, e notte sul tetto dell’auto sotto un vento polare: impossibile scaldarsi.





Sveglia (per modo di dire: chi ha dormito?) per il rito dell’alba sull’Assekrem. Ascesa col sacco a pelo sulle spalle, si gela sul ripido sentiero.

Poi, colazione fra gli asinelli ostinati, che mangiano proprio di tutto!




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Saluti ai tuareg, e partenza per Tam.

 

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....................... continua .......................




Cactus di montagna

28-05-2009


Sì, evidentemente i miei cactus hanno svernato bene nella loro serra!
Questa Lobivia, che l'anno scorso non era fiorita, ora ha fatto questi tre splendidi fiori, che mi danno la conferma che aspettavo. L'ambiente freddo e secco della serra ha fatto sì che i cactus entrassero nel loro naturale riposo vegetativo.
La Lobivia famatimensis, piccolo cactus di montagna, in inverno ama il freddo, che favorisce un'abbondante fioritura estiva. Sopporta senza danni anche temperature abbondantemente sotto lo zero, a patto che l'ambiente e il terreno siano assolutamente secchi.
E questi tre fiori quindi mi confermano che la serra fredda, d'inverno, è la soluzione giusta.


Lobivia famatimensis v. haematantha
Lobivia famatimensis var. haematantha


(foto di Alfio Cioffi)